lunedì 29 dicembre 2008

Mons. Tutu: "Bombardamento aereo di Israele su Gaza è crimine di guerra"
















Bombardamento israeliano su Gaza - Foto da notiziedalmediooriente.it

Gli attacchi aerei israeliani su Gaza "hanno tutte le caratteristiche dei crimini di guerra". Lo ha affermato il premio Nobel per la pace, mons. Desmond Tutu. "Nel contesto di una supremazia aerea totale, nella quale una parte del conflitto dispiega forze aeree letali contro avversari che non possono difendersi, i bombardamenti assumono tutte le caratteristiche dei crimini di guerra" - ha dichiarato l'arcivescovo anglicano secondo il quale l'offensiva militare "non contribuisce alla sicurezza d'Israele". Mons. Tutu ha infine evidenziato le responsabilità della comunità internazionale e in particolar modo dei leader mondiali che "negli ultimi 60 anni hanno constantemente mancato nei confronti delle popolazioni della Palestina e di Israele".

Amnesty International denuncia l'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza che ha già causato oltre 280 morti tra la popolazione palestinese in uno degli attacchi più sanguinosi nei quarant'anni dell'occupazione israeliana West Bank e della Striscia di Gaza. "L'uso sproporzionato della forza da parte di Israele è illegale e rischia di innescare ulterioriore violenza nell'intera regione" - riporta il comunicato di Amnesty. "Centinaia di civili disarmati e di personale della polizia che non partecipavano alle ostilità sono tra le vittime del bombardamento israeliano" - aggiunge l'associazione. Amnesty afferma inoltre che "i continui lanci di razzi sulle città e i villaggi israeliani da parte di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi - che secondo l'associazione condividono la responsabilità dell'escalation delle violenze - sono illegali e non possono essere giustificati". L'associazione chiede pertanto a tutte le parti in causa di porre fine agli attacchi e alla comunità internazionale di "intervenire senza indugio per garantire che i civili intrappolati nella violenza siano protetti e che il blocco di Gaza sia rimosso".

"Bisogna assolutamente che cessino i bombardamenti perché sono già troppe le vittime innocenti. Noi condanniamo ogni violenza: i razzi lanciati dalla Striscia di Gaza, ma anche gli attuali bombardamenti. Così vi saranno solo ulteriori spirali di violenza. Ci addolora che ancora una volta l’unico linguaggio sia quello delle armi" - dichiara Claudette Habbash, direttrice di Caritas Gerusalemme in un appello ripreso dalla Caritas Italiana che da anni offre sostegno alla popolazione più vulnerabile della Striscia di Gaza.

Sono state numerose ieri le manifestazioni di condanna e proteste di fronte alle ambasciate israeliane per gli attacchi e di solidarietà per le vittime e per la martoriata popolazione di Gaza non solo nel mondo arabo, in Egitto, Libano, Giordania, Siria e nello Yemen, ma anche in diverse capitali europee tra cui Stoccolma, Copenaghen, Londra, Madrid, Istanbul, Roma e Milano: nel capoluogo lombardo - riporta l'agenzia Misna - i manifestanti hanno organizzato un corteo che è partito da piazza San Babila, dove sono stati legati striscioni anti-israeliani, e ha raggiunto piazza Duomo, pregando poi per le vittime di Gaza e per la pace in ginocchio.

L'agenzia di stampa del mondo missionario evidenzia il commento del gruppo di pressione israeliano per la pace "Gush Shalom" (Blocco per la Pace) fondato dall’ex-parlamentare israeliano Uri Avnery. In una nota diffusa via mail l'associazione pacifista afferma che "La guerra a Gaza, lo spargimento di sangue, le uccisioni, la distruzione e la sofferenza su entrambi i lati del confine sono la perversa follia di un governo in fallimento. Un governo che si è lasciato trascinare da militari avventurieri e da una rozza demagogia nazionalista in una guerra distruttiva e inutile che non darà soluzione ad alcun problema, né per le comunità del sud di Israele sotto una pioggia di missili né per le terribili povertà e sofferenze di Gaza assediata. Il giorno dopo la guerra, rimarranno gli stessi problemi - con l'aggiunta di molte famiglie in lutto, persone ferite e invalide per tutta la vita e di mucchi di macerie e distruzione".

"L'escalation verso la guerra poteva e doveva essere evitata" - prosegue la nota di Gush Shalom. "A rompere la tregua è stata Israele con l’incursione compiuta in un tunnel nella notte delle elezioni americane due mesi fa. Da allora è stato l'esercito ad accumulare fiamme di escalation con incursioni e uccisioni mirate, ogni volta che il lancio di missili su Israele diminuiva. Il ciclo del massacro potrebbe e dovrebbe essere rotto. Il cessate- il -fuoco può essere ristabilito immediatamente e su basi più solide. È diritto di Israele chiedere la fine totale del lancio di razzi sul suo territorio e i suoi cittadini, ma deve por fine a tutti i suoi attacchi e alla morte per fame del milione e mezzo di abitanti di Gaza, smettendo anche di interferire con il diritto dei palestinesi di scegliersi i loro capi. La dichiarazione di Ehud Barak secondo cui avrebbe sospeso la campagna elettorale per concentrarsi sull'offensiva di Gaza è una barzelletta. La guerra a Gaza è di per sé la campagna elettorale di Barak, un tentativo cinico di comprare i voti con il sangue e le sofferenze di Netivot e Sderot, Gaza e Beit Hanun".

Secondo un sondaggio della televisione commerciale israeliana, l’82% degli israeliani avrebbe espresso favore per l’operazione ‘Piombo fuso’ e il partito laburista, di cui il ministro della Difesa Ehud Barak è presidente dal giugno 2007, sarebbe in ascesa nelle previsioni di eventuali seggi in parlamento, da 11 a 16 - sottolinea il direttore della Misna, Pietro Mariano Benni. [GB]


Fonte: Unimondo.org

domenica 14 dicembre 2008

12 DICEMBRE 2008 per ricordare LA STRAGE DI STATO

Mentre in Italia si è alle prese col maltempo e la difficoltà ad arrivare a fine mese, mentre solo la CGIL mobilita il mondo del lavoro e tutta la Società Civile nelle piazze per avere misure adeguate per fronteggiare la crisi, passa sotto a tutti questi problemi anche l'ennesimo anniversario della Strage di Stato.



Sono passati 39 anni da quel 12 dicembre 1969 in Piazza Fontana, da quella tremenda strage all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura, che provocò 17 morti e 84 feriti, di cui furono responsabili le organizzazioni della destra eversiva, come è dimostrato storicamente e processualmente.


FONTE: www.reti-invisibili.net
Milano, 12 dicembre 1969, ore 16,30

Esplode una bomba nel salone degli sportelli della Banca Nazionale dell'Agricoltura, al numero 4 di piazza Fontana. Ha inizio una nuova era tragica.

I terroristi non avrebbero potuto scegliere un momento migliore: la banca è infatti gremita per il "mercato del venerdì", che richiama gli agricoltori delle province di Milano e Pavia. L'ordigno è stato collocato in modo da provocare il massimo numero di vittime: sotto il tavolo al centro del salone riservato alla clientela, di fronte all'emiciclo degli sportelli. I locali devastati testimoniano la potenza dell'esplosivo impiegato.

L'attentato causa sedici morti, di cui quattordici sul colpo, e ottantotto feriti. La storia dirà se la strage di piazza Fontana, inaugurando la strategia della tensione, ha determinato i dieci anni più bui della vita politica italiana.

Nelle ore che seguono gli attentati, vengono compiute perquisizioni nelle sedi di tutte le organizzazioni dell'estrema sinistra. Viene visitata anche qualche organizzazione d'estrema destra, ma senza molta convinzione, visto che le indagini risparmiano Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale, le più importanti. Fin dall'indomani, come preparata in anticipo, parte un'incredibile campagna contro gli estremisti di sinistra. Le indagini sono di una stupefacente rapidità; in tre giorni viene arrestata una decina di persone sulle quali, come dichiara la polizia, "gravano pesanti indizi". Sono tutti anarchici dei circoli Bakunin e 22 Marzo. Tra di loro vi sono: Giovanni Aricò, Annelise Borth, Angelo Casile, Roberto Mander, Emilio Borghese, Mario Merlino, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Per la polizia, insomma, oltre a quella anarchica, nessun'altra pista merita di essere presa in considerazione.

Iniziano gli interrogatori. Sono condotti con energia. Il 15 dicembre, a mezzanotte, nel cortile della questura di Milano, un corpo s'infrange quasi senza rumore ai piedi di un giornalista. È Giuseppe Pinelli, uno degli anarchici arrestati tre giorni prima, caduto senza un grido da una stanza del quarto piano. Causa ufficiale della morte: suicidio. Non ci crederà nessuno... Tra gli anarchici fermati subito dopo la strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, il commissario Calabresi sembra interessarsi a una sola persona: Pietro Valpreda, di professione ballerino. Il giovane grida la propria innocenza. Essa non sarà riconosciuta che molto tempo dopo. Eppure, già all'epoca, tutto denunciava l'esistenza di una "pista nera", che verrà esplorata solo tardivamente.

15 dicembre 1969

Guido Lorenzon segretario di una sezione della Democrazia cristiana, si presenta da un avvocato della città dichiarando di essere a conoscenza di fatti che potrebbero essere in rapporto con gli attentati. Due giorni prima, cioè all'indomani delle esplosioni, ha avuto con l'editore Giovanni Ventura (amico di vecchia data), una conversazione che, da allora, l'ossessiona. Le informazioni che Ventura gli ha fornito sugli attentati sono state troppo precise e circostanziate perché possa essere totalmente estraneo alla strage.

Già in precedenza Ventura gli aveva parlato con la stessa precisione dei dieci attentati ai treni compiuti nel Nord Italia nella notte tra l'8 e il 9 agosto 1969. E gli aveva anche confidato di appartenere a un'organizzazione clandestina che progettava un colpo di stato mirante a instaurare un regime ispirato alla Repubblica di Salò. Fino a quel momento Lorenzon aveva taciuto. Dopo la strage di Milano non poteva più farlo: nell'ultima conversazione con Ventura, infatti, gli era parso di capire che questi stesse preparando altri sanguinosi attentati.

Il giorno dopo, in compagnia dell'avvocato, Lorenzon ripete la sua testimonianza di fronte a un magistrato di Treviso, il procuratore Pietro Calogero. Con l'aiuto di Lorenzon, che continua a frequentare Ventura, in qualche settimana Calogero raccoglierà una serie di solidi indizi contro quest'ultimo e un suo amico, Franco Freda, un avvocato di Padova ben noto nella regione per le sue opinioni neonaziste.

Franco Freda, poco più anziano di Ventura, grande ammiratore di Hitler e delle ss, fanatico antisemita, ha fatto la gavetta, come Ventura, nell'msi, di cui all'inizio degli anni Sessanta ha diretto l'organizzazione universitaria (fuan). Più tardi ha fondato i Gruppi d'aristocrazia ariana (Gruppi ar), vicini a Ordine Nuovo.

Giovanni Ventura, cresciuto nella nostalgia di Mussolini, s'è iscritto all'msi giovanissimo. Nel 1965, trovando questo movimento troppo moderato, entra in Ordine Nuovo, la cui politica più energica meglio corrisponde alle sue aspirazioni.

Novembre 1971

Un muratore, nell'eseguire alcune riparazioni sul tetto di una casa di Castelfranco Veneto, sfonda per errore il tramezzo divisorio di un'abitazione di proprietà di un consigliere comunale socialista, Giancarlo Marchesin, e scopre un arsenale di armi ed esplosivi, tra cui, in particolare, casse di munizioni siglate nato. Arrestato, Marchesin dichiara che quelle armi sono state nascoste lì da Giovanni Ventura qualche giorno dopo gli attentati del 12 dicembre, e che prima si trovavano presso un certo Ruggero Pan.

Interrogato a sua volta, Pan rivela che durante l'estate del 1969, dopo gli attentati ai treni, Ventura gli aveva chiesto di comprare delle casse metalliche tedesche di marca Jewell. Quelle di legno usate per collocarvi gli esplosivi negli attentati, aveva spiegato l'editore, non avevano prodotto l'effetto di "compressione esplosiva del metallo". Pan si era rifiutato. Il giorno dopo, notando da Ventura una cassetta di metallo, aveva capito che qualcuno era andato a comprarla al posto suo.

Pan aveva dimenticato l'episodio fino al 13 dicembre 1969, giorno in cui la televisione e i giornali avevano mostrato la riproduzione di una delle cassette impiegate negli attentati alle banche. Era una Jewell, identica a quelle acquistate da Freda e Ventura.

I magistrati di Treviso scoprono inoltre che il gruppo teneva le sue riunioni nella sala di un istituto universitario di Padova messa a sua disposizione dal custode, Marco Pozzan, braccio destro di Franco Freda.

Sottoposto dagli inquirenti, il 21 febbraio e il 1° marzo 1972, a due lunghi interrogatori, Marco Pozzan spiega che il piano, preparato da tempo, aveva ricevuto il via libera nel corso di una riunione notturna svoltasi a Padova il 18 aprile 1969. Dapprima reticente sull'identità di due dei partecipanti alla riunione, arrivati la sera stessa da Roma, Pozzan, dopo qualche esitazione, rivela il nome di uno di loro: Pino Rauti, all'epoca capo del movimento Ordine Nuovo. Quanto al secondo, assicura di saperne solo ciò che gli ha detto Franco Freda: "È un giornalista ed è membro dei servizi segreti...".

I magistrati, in verità, erano già a conoscenza di questa riunione grazie alle intercettazioni cui avevano sottoposto il telefono di Freda. Quello che ignoravano era l'importanza capitale che essa aveva avuto nell'organizzazione degli attentati del 1969.

3 marzo 1972

Franco Freda, procuratore legale a Padova, Giovanni Ventura e Pino Rauti, dirigente nazionale dell'msi e fondatore del movimento Ordine Nuovo, vengono arrestati. Sono accusati di aver organizzato gli attentati del 25 aprile 1969 (alla Fiera e alla Stazione Centrale di Milano) e dell'8 e 9 agosto dello stesso anno (a danno di alcuni treni). Il 21 marzo, aggiungendo ai capi d'imputazione contro il gruppo Freda-Ventura gli attentati del 12 dicembre 1969, il giudice Stiz trasmette il fascicolo, per competenza territoriale, alla procura di Milano.

A proseguire le indagini sono designati tre nuovi magistrati la cui prima iniziativa è rimettere in libertà Rauti, senza però far cadere il capo d'accusa.

Riprendendo le indagini da zero, i tre magistrati milanesi raccolgono in qualche mese una serie di prove decisive contro il gruppo Freda-Ventura e, nello stesso tempo, dimostrano che i poliziotti e i giudici che si sono precipitati sulla pista anarchica hanno commesso numerose irregolarità.

Una nuova perizia sui vari frammenti di esplosivi, sui timer e sulle borse contenenti le bombe ritrovati il 12 dicembre 1969 sul luogo degli attentati permette di accertare tre fatti importanti:

1) le bombe sono costituite da candelotti identici agli esplosivi nascosti da Ventura, qualche giorno dopo gli attentati, in casa dell'amico Giancarlo Marchesin;

2) i meccanismi di scoppio ritardato delle bombe provengono da una partita di cinquanta timer acquistati il 22 settembre 1969 da Franco Freda in un negozio di Bologna. Freda spiegherà ai magistrati di aver comprato i timer su richiesta di un fantomatico capitano Mohamed Selin Hamid dei servizi segreti algerini, per conto della resistenza palestinese. Da una verifica compiuta presso le autorità algerine risulta che questo capitano non esiste;

3) le borse in cui si trovavano le bombe erano state acquistate, due giorni prima degli attentati, in una pelletteria di Padova. Qualche giorno dopo, confrontando due foto della borsa di pelle ritrovata intatta alla Banca Commerciale Italiana, il giudice D'Ambrosio nota una differenza. Nella prima, scattata la sera stessa degli attentati, dal manico pende ancora l'etichetta del prezzo. Nella seconda, scattata un mese più tardi, l'etichetta e la cordicella cui era attaccata sono scomparse. Ancora una volta, qualcuno è intervenuto a sopprimere delle prove.

Ormai convinti di avere in mano, con Franco Freda e Giovanni Ventura, i personaggi chiave degli attentati, i magistrati milanesi si applicano a scoprire chi siano, dietro i due uomini, i veri ispiratori della strategia della tensione. L'istruttoria verrà abbattuta in volo nel 1974 dalla decisione della Corte di Cassazione di sottrarre loro indagini che dirigevano da due anni con coraggio esemplare. L'istruttoria viene trasferita a Catanzaro, dove erano già stati spostati l'inchiesta e il processo Valpreda per "motivi di ordine pubblico". A Catanzaro esse vengono affidate a due magistrati locali che, senza che si possa mettere in dubbio la loro onestà, non seguiranno mai le "piste nere" con l'ostinazione dei predecessori.

***

Da: http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2004/un10/art3164.html
(Umanità Nova, numero 10 del 21 marzo 2004, Anno 84 - articolo di Luciano Lanza)

La sentenza di appello per la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) non è scandalosa come molti dicono e scrivono: è la regola. Ripristinata. Dopo poche anomalie. Piccole e parziali.

I fatti. Il 12 marzo la corte d'appello di Milano ha assolto dal reato di strage (ergastolo) Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni quali responsabili dell'attentato che più di 34 anni fa causò 16 (più uno) morti e 84 feriti nella Banca nazionale dell'agricoltura. Nel giugno 2001 i tre erano stati condannati all'ergastolo. In più Stefano Tringali si era beccato tre anni per favoreggiamento. Ironia della sorte: è l'unico colpevole con una pena ridotta a un anno. Ma se non ci sono colpevoli per chi ha fatto favoreggiamento? Misteri della giustizia italiana. O meglio non ci sono misteri, c'è soltanto la volontà di "chiudere" una pagina che vede lo stato italiano come colpevole di complotti e stragi.

Perché è la regola in questo criminale affare? Molto semplice. Perché fin dallo scoppio di quelle bombe (una a Milano e due a Roma) gli apparati dello stato hanno fatto di tutto per depistare e occultare la verità. Ricordate? All'inizio il mostro che aveva messo la bomba era un anarchico, Pietro Valpreda, ma non solo anarchico anche ballerino, quindi uno spostato, un diverso con la bramosia del sangue e della rivoluzione. E da lì una campagna (ossessivamente orchestrata, neppure troppo intelligentemente, ma mediaticamente martellante) contro gli anarchici e la sinistra "rivoluzionaria". Con un contorno altrettanto drammatico: il "volo" di un anarchico milanese, Giuseppe Pinelli, dal quarto piano della questura di Milano. Ebbene quella montatura aveva funzionato per poco tempo, poi un oscuro giudice veneto di Treviso, Giancarlo Stiz se ne era uscito con un mandato di cattura contro due neonazisti: Franco Freda e Giovanni Ventura. Per Stiz erano loro i responsabili, non Valpreda, di quella strage.

Prima anomalia. Che contraddiceva l'istruttoria "istituzionale" dei magistrati romani Ernesto Cudillo e Vittorio Occorsio. I due avevano puntato subito (e come mai?) su Valpreda e sui suoi compagni del circolo 22 marzo. Da lì una sequenza di processi che definire ridicoli è poca cosa. Il 23 febbraio inizia il processo per la strage che vede sul banco degli imputati sia gli anarchici Valpreda e i suoi compagni (con un'aggiunta di Mario Merlino, nazista infiltrato nel gruppo 22 marzo) sia i nazisti Freda e Ventura. Tutti insieme appassionatamente per confondere le acque (la consunta, ma sempre sbandierata teoria degli "opposti estremismi") e non far capire che cosa è veramente successo. Ma il 6 marzo i magistrati romani (responsabili della montatura, ricordiamoli: Occorsio e Cudillo) capiscono che non ce la faranno ad andare avanti. Il processo viene così spostato a Milano: il luogo della strage. Il luogo dove, secondo le leggi dello stato italiano, si sarebbe dovuto tenere fin dall'inizio il processo. Ma che succede? Il procuratore generale del capoluogo lombardo, Enrico De Peppo, sostiene che Milano è una città in mano ai "rossi": legittima suspicione. Il processo viene dirottato (esiliato?) a Catanzaro. Ma bisognerà aspettare quasi dieci anni dalla strage (23 febbraio 1979 per arrivare alla prima sentenza. Freda e Ventura vengono condannati all'ergastolo per strage, Valpreda e compagni assolti (insufficienza di prove), ma condannati per associazione a delinquere. C'è però una postilla interessante. I giudici di Catanzaro rinviano a Milano gli atti che riguardano gli ex presidenti del consiglio Giulio Andreotti e Mariano Rumor e gli ex ministri Mario Tanassi, difesa, e Mario Zagari, giustizia. Dire che i quattro uomini politici escono quasi subito dal processo è come raccontare una di quelle vecchie barzellette che tutti conoscono. E infatti finisce come tutti già si aspettavano: "Scusate il disturbo".

E, di processo in processo, arriviamo al 27 gennaio 1987 in cui la prima sezione della Cassazione chiude la questione: nessun responsabile per la strage di piazza Fontana. Anarchici e nazisti sono innocenti. O meglio, rimane il fatto che per Freda e Ventura è confermata la condanna a 15 anni per gli attentati alla Fiera campionaria e alla stazione Centrale di Milano del 25 aprile 1969 e, sempre nello stesso anno, degli attentati ai treni (dieci bombe, otto esplose) tra l'8 e il 9 agosto.

Particolare non irrilevante: quei due attentati, inizialmente attribuiti agli anarchici, erano serviti per costruire il "teorema anarchico" di piazza Fontana. Che poi la responsabilità processuale venga definitivamente attribuita ai nazisti non sembra più rilevante.
Capacità dialettica della magistratura italiana.

Arriviamo a un'altra delle poche anomalie che contrassegnano questa vicenda. Il giudice istruttore Guido Salvini nel 1987 apre una nuova inchiesta sull'eversione di destra e sulla strage di piazza Fontana.

Un'inchiesta che nel 1995 arriva a un'ordinanza di rinvio a giudizio contro una serie di terroristi neonazisti. Ma bisognerà aspettare il giugno 2001 per assistere alla condanna all'ergastolo di Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni e Carlo Maria Maggi. Più la condanna di tre anni a Stefano Tringali per favoreggiamento.

Anche l'anomalia creata da Salvini si è chiusa. Sepolta dalla volontà di non avere colpevoli per quella strage. E quando mai avete visto uno stato che condanna se stesso?

Perché la strage di piazza Fontana è stata realmente una strage di stato come la definirono gli anarchici del Ponte della Ghisolfa il 17 dicembre 1969 in una conferenza stampa che gli organi di stampa definirono "farneticante". Strage di stato perché vi troviamo coinvolti ministri, segretari di partito, servizi segreti italiani (tutt'altro che deviati, ma obbedienti agli ordini dei responsabili della politica) e servizi segreti esteri (americani e israeliani).

Per chi non ha vissuto quel periodo vale la pena ricordare che allora la classe dirigente italiana temeva uno spostamento a sinistra dell'asse politico nazionale, un cambiamento non voluto e osteggiato con tutti i mezzi. Anche con le bombe e i morti. Fu messa in atto una strategia che "doveva portare, nelle intenzioni degli esecutori, a un regime autoritario, ma che è stata gestita dai più alti organi dello stato per mettere fuori gioco gli avversari politici e per creare un clima di paura che perpetuasse la centralità della Democrazia cristiana e dei suoi alleati".

Oggi, tornati alla ribalta i successori della Democrazia cristiana (Forza Italia più satelliti), la strage di piazza Fontana deve tornare nel dimenticatoio. Se ne riparlerà fra alcuni anni, quando saranno passati quasi quarant'anni dalla strage. E allora sarà ancora di più e soltanto storia. Riveduta e corretta. Secondo i dettami del revisionismo imperante.

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Associazione:
"Associazione Familiari vittime della strage di Piazza Fontana"
Presidente: LUIGI PASSERA

sabato 6 dicembre 2008

60° ANNIVERSARIO DELLA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI UMANI









Fonte: www.perlapace.it


Diritti umani, il mondo celebra, Berlusconi no

Il 60° anniversario della Dichiarazione di Parigi snobbato dalla destra. Il governo non ha ancora dato attuazione alla Corte penale internazionale.
Disattenzione. Impegni non attuati. Latitanza. Così il governo italiano si appresta a non ricordare una scadenza che coinvolgerà tutto il mondo: il 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani.

Un’assenza colpevole. Un disinteresse ingiustificato e ingiustificabile. Dieci dicembre, il mondo celebra il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: la «Magna Charta», dell’umanità, il documento che per la prima volta ha riconosciuto i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani. Diritti che continuano ad essere violati, calpestati, infangati in tante parti del pianeta. Ragione in più per rinnovare un impegno. Per tenere insieme la «diplomazia degli Stati» e quella dei popoli. Dieci dicembre: il governo italiano latita. Si chiama fuori. Bassissimo profilo. Praticamente inesistente. A denunciarlo è Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, una delle organizzazioni che hanno promosso il Comitato nazionale per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.




GOVERNO LATITANTE
“L’Italia – afferma Lotti – è il solo Paese europeo che ha scelto di ignorare l’appello dell’Onu che il 10 dicembre 2007 aveva inaugurato l’Anno dei Diritti Umani e invitato tutti gli Stati ad un maggiore impegno concreto”. Invito che il governo italiano ha ampiamente disatteso. “Il fatto – rileva il coordinatore della Tavola della Pace – è ancora più grave perché l’Italia fa parte del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, l’organismo che più di ogni altro ha la responsabilità di difendere e promuovere il rispetto dei diritti umani nel mondo. Per questo – conclude Lotti – l’Italia dovrebbe essere in prima linea tra i Paesi che più s’impegnano per i diritti umani”. Dovrebbe. Perché la realtà, purtroppo, è un’altra. E la realtà parla di sottovalutazione, disimpegno, ritardi nell’attuazione di impegni sottoscritti in sedi internazionali. Governo latitante. Una riprova viene dalla denuncia dei radicali. “Sono ormai passati 10 anni dall’approvazione dello statuto di Roma da parte della conferenza diplomatica che istituì la Corte penale internazionale, e cioè la prima istituzione permanente con il compito di perseguire e giudicare i responsabili di alcuni dei più gravi crimini conosciuti dall’umanità, quali il genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità”.

IL CASO CORTE PENALE
A ricordarlo sono i deputati radicali eletti nelle liste del Pd, Rita Bernardini e Matteo Mecacci, lamentando poi la mancata attuazione ad oggi, da parte de governo italiano, dello statuto della Corte penale internazionale. “L’Italia – proseguono Bernardini e Mecacci – è stata fra i protagonisti di quella vicenda politica e diplomatica attraverso i governi, sia di centro-destra che di centro-sinistra; infatti il nostro fu il quarto Paese a ratificare lo statuto, grazie anche alla lotta instancabile del Partito Radicale e di “Non c’è Pace Senza Giustizia”. Ciononostante l’Italia oggi è ancora in difetto nel dare attuazione interna allo statuto, il che significa che non è nelle condizioni di collaborare dal punto di vista giudiziario con la Corte. Una questione che – spiegano – se continuasse a restare irrisolta, potrebbe esporre il nostro Paese al passaggio sul nostro territorio di criminali internazionali ricercati dalla Corte, che non potrebbero ad esempio essere ad essa consegnati dalle nostre autorità”. A un governo latitante fa da contraltare una mobilitazione dal basso della società civile e delle associazioni più impegnate sui temi della difesa dei diritti umani in Italia e nel mondo: 221 iniziative in 159 città, in tutte le regioni italiane: sono i numeri della Giornata nazionale d’azione per i diritti umani, che mercoledì prossimo, 10 dicembre, celebrerà in tutta Italia il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nel segno dello slogan “Se non li difendi, te li tolgono”.

APPUNTAMENTI
Duecentouno iniziative in centocinquantanove città, in tutte le regioni italiane: sono i numeri della Giornata nazionale d’azione per i diritti umani, che mercoledì prossimo 10 dicembre, celebrerà in tutta Italia il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti Umani. L’iniziativa clou della Giornata, promossa da un cartello di associazioni e comitati, si terrà di fronte alla sede della direzione generale della Rai in viale Mazzini a Roma: un sit in nel corso del quale i partecipanti potranno ascoltare la lettura della Dichiarazione Universale del 1948, della Costituzione italiana e del contratto di servizio della tv pubblica: “Cara Rai – si legge nel volantino degli organizzatori – ti chiediamo di dare voce a chi non ha voce. Ti chiediamo di illuminare la vita delle persone e di difendere i loro fondamentali diritti, qualunque sia il colore della loro pelle. Ti chiediamo di farlo tutti i giorni. Non ti chiediamo molto. Ti chiediamo solo di fare il tuo dovere di servizio pubblico”. Nonostante il disinteresse governativo.

Umberto De Giovannangeli
Fonte: l’Unità
4 dicembre 2008

tratto da: www.perlapace.it


LINKS CORRELATI ALL'ARGOMENTO:

SITO CLUB UNESCO CUNEO

ARCHIVIO PACE DIRITTI UMANI

AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA

AMNESTY ITALIA



La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

I trenta articoli di cui si compone sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. Vi si proclama il diritto alla vita, alla libertà e sicurezza individuali, ad un trattamento di uguaglianza dinanzi alla legge, senza discriminazioni di sorta, ad un processo imparziale e pubblico, ad essere ritenuti innocenti fino a prova contraria, alla libertà di movimento, pensiero, coscienza e fede, alla libertà di opinione, di espressione e di associazione. Vi si proclama inoltre che
nessuno può essere fatto schiavo o sottoposto a torture o a trattamento o punizioni crudeli, disumani o degradanti e che nessuno dovrà essere arbitrariamente arrestato, incarcerato o esiliato.
Vi si sancisce anche che tutti hanno diritto ad avere una nazionalità, a contrarre matrimonio, a possedere dei beni. a prendere parte al governo del proprio paese, a lavorare, a ricevere un giusto compenso per il lavoro prestato, a godere del riposo, a fruire di tempo libero e di adeguate condizioni di vita e a ricevere un'istruzione. Si contempla inoltre il diritto di chiunque a costituire un sindacato o ad aderirvi e a richiedere asilo in caso di persecuzione.

Molti paesi hanno compendiato i termini della Dichiarazione entro la propria costituzione. Si tratta di una dichiarazione di principi con un appello rivolto all'individuo singolo e ad ogni organizzazione sociale al fine di promuovere e garantire il rispetto per le libertà e i diritti che vi si definiscono. Gli stati membri delle Nazioni Unite non furono tenuti a ratificarla (la dichiarazione non essendo di per sé vincolante), sebbene l'appartenenza alle Nazioni Unite venga di norma considerata un'accettazione implicita dei principi della Dichiarazione.

Va sottolineato che in base alla Carta delle Nazioni Unite gli stati membri s'impegnano ad intervenire individualmente o congiuntamente, per promuovere il rispetto universale e l'osservanza dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali . Questo è un obbligo di carattere legale. La dichiarazione rappresenta un'indicazione autorevole di che cosa siano i diritti umani e le libertà fondamentali.

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO

Preambolo

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo;

Considerato che è indispensabile che i diritti dell'uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione;

Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;

Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'eguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;

Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l'osservanza universale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni,

L'ASSEMBLEA GENERALE proclama LA PRESENTE DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 2
1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico internazionale del paese o del territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.

Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.

Articolo 5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumane o degradanti.

Articolo 6
Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.

Articolo 7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.

Articolo 8
Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.

Articolo 9
Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.

Articolo 10
Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri nonché della fondatezza di ogni accusa penale gli venga rivolta.

Articolo 11
1) Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.

2) Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetuato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà deI pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso.

Articolo 12
Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.

Articolo 13
1) Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2) Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

Articolo 14
1 ) Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.

2) Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

Articolo 15
1) Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. 2) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Articolo 16
1) Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento.

2) Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.

3) La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

Articolo 17
1) Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri.

2) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà.

Articolo 18
Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.

Articolo 19
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Articolo 20
Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica.

2) Nessuno può essere costretto a far parte di un'associazione.

Articolo 21
1) Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti.

2) Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese.

3) La volontà popolare è il fondamento dell'autorità del governo; tale volontà deve sere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione.

Articolo 22
Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

Articolo 23
1) Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.

2) Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

3) Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

4) Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Articolo 24
Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.

Articolo 25
1) Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

2) La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

Articolo 26
1 ) Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.

2) L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

3) I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.

Articolo 27
1) Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.

2) Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.

Articolo 28
Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.

Articolo 29
1 ) Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

2) Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.

3) Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite.

Articolo 30
Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuni dei diritti e delle libertà in essa enunciati.


domenica 23 novembre 2008

Muore Sandro Curzi, voce storica della sinistra

tratto da (ami) Agenzia Multimediale italiana

Si è spento sabato mattina a Roma all'età di 78 anni, dopo una lunga malattia, il giornalista Sandro Curzi. Direttore del Tg3 Rai e successivamente direttore del quotidiano di Rifondazione Comunista “Liberazione”, dal 2005 Curzi era membro del consiglio di amministrazione della Rai.

Nato a Roma il 4 marzo 1930, militante comunista sin dall'adolescenza, Sandro Curzi ha speso la sua vita all'interno del Partito comunista prima e di Rifondazione comunista poi, svolgendo principalmente incarichi nel settore della comunicazione. Redattore de “l'Unità” clandestina - di cui poi sarebbe diventato caporedattore centrale e direttore responsabile - , caporedattore del periodico della Fgci “Gioventù nuova”, direttore di “Liberazione” dal 1998 al 2005 sotto la guida di Fausto Bertinotti, a metà degli anni '60 per la direzione nazionale del Pci ha ricoperto per un breve periodo anche il ruolo di responsabile stampa e propaganda.

Ancora, tra gli incarichi giornalistici è da ricordare la vicedirezione del quotidiano “Paese Sera”, tenuta dal 1967 al 1975, per cui ha trattato la rivolta studentesca del 1968 e la riscossa operaia del 1969.

Entrato in Rai nel 1975, ha lavorato con Sergio Zavoli al Gr1 e nel 1976 è stato tra i fautori della nascita della terza rete pubblica, diventandone nel 1978 condirettore del telegiornale con Biagio Agnes e di cui ha assunto la direzione dal 1987 al 1993. Conclusa questa esperienza, Curzi ha passato un biennio alla guida del Tg di Telemontecarlo. Nel 2005 era stato eletto consigliere di amministrazione Rai dalla Commissione parlamentare di Vigilanza, grazie ai voti di Rifondazione Comunista, Verdi e dell'ala più a sinistra del Pds.

La camera ardente sarà allestita oggi pomeriggio nella sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, e resterà aperta dalle 17 alle 20 di oggi e dalle 10 alle 18 di domenica, per poi riaprire lunedì dalle 9 alle 11.30. Successivamente saranno celebrate le esequie con una cerimonia laica.

Cordoglio per la scomparsa di Sandro Curzi è giunto dalle massime cariche dello stato. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, esprime alla famiglia del giornalista la sua «affettuosa partecipazione nel segno di una antica amicizia» e saluta un «uomo di schietta passione politica e di sempre viva non comune cordialità umana», sottolineando come «le aspre polemiche che lo coinvolsero nel periodo della sua massima responsabilità giornalistica non lo indussero mai ad astiose chiusure né ad alcuna attenuazione della sua autonomia di giudizio e del suo senso delle istituzioni». Elogi anche per «il suo profondo attaccamento al servizio televisivo pubblico, com'è testimoniato dal suo impegno negli ultimi tempi».


Numerosi i messaggi provenienti dall'intero arco politico italiano. Per Rifondazione comunista, il partito di Curzi, è il segretario Paolo Ferrero a parlare: «Consideriamo un grande privilegio aver potuto lavorare insieme a lui, al suo amore per il giornalismo e al suo impegno politico, sia nella qualità di direttore che ha dato forza e valore a Liberazione, sia nella qualità di appassionato militante del partito. Alla vedova e ai famigliari - conclude Ferrero - esprimo il cordoglio profondo e l'abbraccio pieno d'affetto mio personale e di tutto il Prc». «Se ne va con Sandro Curzi un vecchio amico, un giornalista di razza, un uomo coraggioso e ironico che aveva percorso nella sua vita un grande tratto della storia della sinistra italiana», dice il segretario del Pd, Walter Veltroni, parlando di «un uomo appassionato che prendeva di petto le cose con irruenza e capacità». Dal Pdl, Maurizio Gapsarri ricorda «un uomo sanamente di parte che ha sempre rispettato gli avversari politici», un personaggio, aggiunge il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, che «con la sua voce critica e le sue posizioni talvolta anche scomode ha contribuito alla crescita del servizio pubblico». «Un grande italiano», lo definisce il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, «che anche per noi di destra ha saputo essere un interlocutore e una persona che non si è mai tirata indietro».

Tra i giornalisti, Michele Santoro ricorda di Curzi «la grandissima capacità di nutrirsi del rapporto con gli altri, anche con persone diverse da lui». Al direttore del Tg5, Clemente Mimun, mancheranno «la sua umanità, la sua simpatia, la sua leale faziosità». Dai vertici Rai, il presidente Claudio Petruccioli perde «un grande amico, compagno per una vita», ma anche «un grande giornalista, come Biagi, come Montanelli». Con la scomparsa di Curzi, dice il Direttore Generale Rai, Claudio Cappon, «l'Italia perde un maestro di giornalismo. La Rai uno dei protagonisti, un professionista che ha contribuito a fare la storia dell'azienda».


domenica 16 novembre 2008

Pestaggi alla Scuola Diaz, lo Stato si assolve

CRONOLOGIA DEI FATTI: tratto da Repubblica.it
G8 Genova Scene dell'irruzione nella scuola audio e video







Inaccettabile sentenza per i pestaggi da parte della Digos a dei giovani inermi, fatti che si sono svolti il 21 luglio del 2001 nella scuola Diaz a Genova,.
Tutti purtroppo ricordiamo cosa è successo.
Quella notte, dopo una giornata di cortei e manifestazioni, alcuni giovani, di varie nazionalità dormivano nella scuola Diaz di Genova, per l'occasione messa a disposizione dall'Amministrazione Genovese in accordo con gli organizzatori del Social Forum, che avevano avuto in concessione alcuni siti adattati all'alloggiamento delle migliaia di giovani che si erano dati appuntamento a Genova.
E' noto a tutti che ad una certa ora della notte, mentre tutti dormivano, un intero reparto delle forze dell'ordine ha fatto irruzione nella struttura.
Gli agenti in tuta antisommossa, con caschi, schudi e manganelli hanno cominciato a pestare selvaggiamenti tutti quelli che, inermi, stavano dormendo nelle stanze e nella palestra.
Una ignobile concezione di senso dello Stato dimostrata con vigliaccheria, dopo che quegli stessi agenti la mattina sono stati a guardare le scorribande dei black bloc e che quella sera hanno trovato "doveroso" massacrare dei giovani che dormivano, dando sfogo alla loro peggiore bestialità e rabbia.
Per motivare l'irruzione hanno poi, in caserma, prodotto delle prove false denunciando il ritrovamento di due bottiglie Molotov, che invece erano state raccolte la mattina.
Risultato: 93 arrestati, 82 feriti, 63 ricoverati in ospedale, (3 in coma).

Dopo sette anni da quel 21 luglio 2001 la sentenza che assolve 16 dei 29 imputati, ma che salva sopratutto i vertici che di questa mattanza non potevano non sapere.
Le parti civili denunciano che nessuno degli imputati non è neanche stato sospeso nessuno, e non contro di loro non è stato preso nessun provvedimento disciplinare, sono stati tutti promossi e nessuno di loro ha chiesto scusa.

Ecco i nomi dei soli condannati tra i colpevoli del massacro:
Il tribunale ha condannato, sostanzialmente tutto il VII nucleo comandato da Vincenzo Canterini, anche se gran parte delle condanne sono state mitigate per effetto del condono. Canterini, condannato a 4 anni, è stato riconosciuto responsabile di falso ideologico e di calunnia in concorso mentre Michelangelo Fournier (2 anni di reclusione e non menzione), Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro Stranieri e Vincenzo Compagnone sono stati condannati a tre anni ciascuno per lesioni personali continuate.
Per l’episodio delle molotov il tribunale ha condannato Pietro Troiani (3 anni) e Michele Burgio (2 anni e mezzo) per la calunnia e per il porto illegale di armi da guerra. A tutti sono state concesse le attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate a Fournier, Troiani e Burgio ed equivalenti per gli altri. Luigi Fazio, che è stato condannato a un mese di reclusione, è stato dichiarato interdetto dai pubblici uffici per un anno. Per lui il tribunale ha stabilito la non menzione.
Tutti gli altri hanno avuto uguale pena accessoria per la durata delle rispettive pene.
Le pene inflitte a Basili, Tucci, Lucaroni, Zaccaria, Cenni, Ledoti, Stranieri, Compagnone, Troiani e Burgio sono state interamente condonate. Il tribunale ha dichiarati condonati anche 2 anni della pena inflitta a Canterini. Infine, il tribunale ha stabilito che Canterini, Fournier, Basili, Tucci, Lucaroni, Zaccaria, Cenni, Ledoti, Stranieri e Compagnone siano condannati in solido e con il responsabile civile, Ministero dell’ Interno, al risarcimento di tutti i danni patiti dalle parti civili.

Ho trovato su You Tube questo video che consiglio a tutti, se ci riescono ad andare fino in fondo, di vederlo..

Vieffe

G8 Genova scene del blitz

martedì 11 novembre 2008

Mama Africa è morta, mama Africa vive nel cuore di tutti gli africani


tratto da: lastampa.it
La vita dell'artista africana morta dopo il concerto di Castel Volturno
ROMA
Era definita da molti «la voce dell’Africa». Icona della lotta anti-apartheid nella sua Sudafrica, da sempre impegnata contro la segregazione razziale e per i diritti civili, Miriam Makeba era un’artista-simbolo, costretta per anni all’esilio dal governo di Johannesburg e tornata a casa dopo un lungo girovagare in Europa e negli Usa solo dopo la fine dell’Apartheid, convinta personalmente da Nelson Mandela. Attivista, ma anche grande cantante, dalla voce calda e dalla grande presenza scenica, spesso accompagnata da strumenti etnici e dai costumi tradizionali della sua terra.

Nata a Johannesburg 76 anni fa, sua madre era una sangoma di etnia swazi e suo padre, morto quando lei aveva sei anni, era uno Xhosa. Makeba iniziò a cantare a livello professionale negli anni ’50, con il gruppo Manhattan Brothers, e poi fondò una propria band, The Skylarks, che univa jazz e musica tradizionale sudafricana. Nel 1959 cantò nel musical jazz sudafricano King Kong insieme a Hugh Masekela, che poco dopo divenne il suo primo marito. Pur essendo già una cantante di successo, alla fine degli anni ’50 Makeba ricavava ancora pochissimi introiti dalle sue registrazioni, e non riceveva royalties; per questi motivi iniziò a ipotizzare di lasciare il Sudafrica per gli Stati Uniti.

Nel 1960 partecipò al documentario anti-apartheid «Come Back, Africa» e fu invitata al Festival del cinema di Venezia; una volta in Europa stabilì di non rimpatriare. Si trasferì a Londra, dove conobbe Harry Belafonte, che la aiutò a trasferirsi negli Stati Uniti e farsi conoscere come artista. In America Makeba incise molti dei suoi brani di successo, come Pata Pata, The Click Song («Qongqothwane» in lingua xhosa) e Malaika.

Nel 1966 Makeba ricevette il Grammy per la migliore incisione folk per l’album «An Evening with Belafonte/Makeba», inciso insieme a Belafonte. L’album trattava esplicitamente temi politici relativi alla situazione dei neri sudafrica sotto il regime dell’apartheid. Nel 1963 portò la propria testimonianza al comitato contro l’apartheid delle Nazioni Unite. Il governo sudafricano rispose bandendo i dischi di Makeba e condannandola all’esilio. Nel 1968 sposò l’attivista per i diritti civili Stokely Carmichael; l’evento generò controversie negli Stati Uniti, e i suoi contratti discografici furono annullati. Makebe e Carmichael si trasferirono in Guinea, dove divennero amici del presidente Ahmed Sekou Tourè e di sua moglie. Makeba si separò da Carmichael nel 1973, e continuò a cantare soprattutto in Africa, Sudamerica ed Europa. Svolse anche il ruolo di delegata della Guinea presso le Nazioni Unite, vincendo il Premio Dag Hammarskj per la Pace nel 1986.

Dopo la morte della sua unica figlia Bongi (1985), Makeba si trasferì a Bruxelles. Nel 1987 collaborò al tour dell’album «Graceland» di Paul Simon. Poco tempo dopo pubblicò la propria autobiografia, «Makeba: My Story». Nel 1990, Nelson Mandela convinse Makeba a rientrare in Sudafrica. Nel 1992 recitò nel film «Sarafina! Il profumo della libertà», ispirato alle sommosse di Soweto del 1976, nel ruolo della madre della protagonista. Nel 2002 prese parte anche al documentario «Amandla!: A Revolution in Four-Part Harmony», ancora sull’apartheid. Nel 2001 ricevette la Medaglia Otto Hahn per la Pace. L’anno successivo vinse il Polar Music Prize insieme a Sofia Gubaidulina e nel 2004 si classificò al 38° posto nella classifica dei «grandi sudafricani» stilata da SABC3. Nel 2005 si dedicò a un tour mondiale di addio alle scene, cantando in tutti i paesi che aveva visitato nella sua carriera. Ma la generosità della cantante la aveva portata, malgrado le precarie condizioni di salute, a cantare a Castel Volturno per un altro artista-simbolo, Roberto Saviano. Le sue ultime note sono per il concerto anticamorra di ieri sera, poi il malore e la morte improvvisa.

mercoledì 5 novembre 2008

Vittoria di un Presidente, speranza di tutti


Non ci si crede ancora.
Non ci credono i milioni di statunitensi che in questi lunghi mesi hanno creduto nel sogno di vedere alla Casa Bianca un Presidente diverso, non solo per il colore, ma per la storia e per il carisma che lo ha portato a vincere sul candidato repubblicano.

Barack Obama è nato alle Hawaii da padre keniota e madre bianca americana. Il padre, Barack Obama Sr., ha sposato sua madre, Ann Dunham, quando studiava alla University of Hawaii. La coppia si è separata quando Obama aveva due anni. Il padre ha fatto ritorno in Kenya dove è diventato un noto economista. E' morto in un incidente d'auto nel 1982.

In seconde nozze la madre ha sposato un indonesiano, Lolo Soetoro. La famiglia si è trasferita in Indonesia, dove Obama è rimasto fino all'età di 10 anni, dopo di che è tornato a vivere con i nonni alle Hawaii, dove ha frequentato con una borsa di studio la Punahou Academy, un istituto d'élite.

Ha sette tra fratelli e sorelle in Kenya, figli del padre, e una sorella, Maya Soetoro-Ng, da parte di madre.

Dopo avere terminato il college nel 1983, Obama ha lavorato per un consulente finanziario di New York e una associazione di consumatori. Ha trovato lavoro a Chicago nel 1985 nell'organizzazione del Progetto di sviluppo delle comunità -- un gruppo religioso che si proponeva di migliorare le condizioni di vita nei quartieri poveri.

Tre anni dopo è entrato alla Harvard Law School, dove è diventato il primo presidente nero della rivista di legge dell'università. Ha lavorato come associato pro tempore nello studio legale Sidley Austin a Chicago, dove ha conosciuto la futura moglie. Dopo essersi laureato a Harvard nel 1991, Obama ha esercitato come avvocato specializzato in diritti civili in un piccolo studio di Chicago, in seguito è diventato professore di diritto costituzionale alla University of Chicago nel 1993.

Obama ha ottenuto un seggio al Senato dell'Illinois nel 1996. Durante quella legislatura ha lavorato sulla legislazione del welfare e temi etici e su un provvedimento che prevedeva la registrazione elettronica degli interrogatori della polizia e delle confessioni nelle inchieste per omicidio.

Obama ha conquistato un seggio molto ambito per il Senato Usa nel 2004, strappando a sette rivali la candidatura per il Partito democratico e ha poi vinto l'elezione.

Da senatore degli Stati Uniti si è distinto per il voto a favore di progetti di legge di sinistra, ma è stato anche uno dei pochi democratici ad appoggiare una misura sulla class-action in tribunale. Si è opposto alla nomina di John Roberts a ministro della Giustizia e a quella di Samuel Alito a giudice della Corte suprema.

Il National Journal, che non parteggia per alcuna forza politica, ha definito Obama il senatore più liberal nel 2007, fondando il suo giudizio su come aveva votato in Parlamento quell'anno. Era stato classificato al 10mo posto della lista dei più liberal nel 2008 e al 16mo posto nel 2005.

(Fonti: Reuters, Almanacco della Politica Americana, "The Audacity of Hope" di Barack Obama)

giovedì 9 ottobre 2008

Vajont, un muro d'acqua - per ricordare



Tratto da: Lastampa.it - cronache

In tutto 30 i sopravvissuti, 1.917 persone inghiottite dal fango
ROMA
Ore 22.39, 9 ottobre 1963, Longarone.
«Ero a letto, avevo 12 anni, stavo aspettando mio papà che tornasse con la mamma. Mio papà lavorava in diga, era uno dei controllori. Aveva iniziato il turno alle 14, alle 22, finito il turno, avrebbe percorso come sempre i dieci chilometri che distavano dal paese e sarebbe andato a prendere mia madre, che lavorava nel centro di Longarone. Si facevano sempre una passeggiata romantica a piedi per ritornare a casa insieme. Erano due innamorati. Ho sentito arrivare papà, da solo, e poi subito andare via con la macchina. Dopo 5 minuti un tuono fortissimo, pensavo fosse il temporale. Anche mia nonna lo pensava, è entrata in camera mia e ha detto chiudo le imposte arriva il ...non ha fatto in tempo a finire la frase. È andata via la luce. Ho sentito come se la mia faccia fosse tirata per i capelli, c’era come un buco che mi voleva risucchiare e la stanza che si allargava e poi restringeva. Il viso come una medusa, appiccicoso e tirato. Avevo le mani lungo i fianchi ma ho avuto un moto di ribellione e ho alzato le braccia davanti a me: dovevo toccarmi il viso, credevo di non averlo più. Così mi sono salvata, sono riemersa da sotto terra, ero stata spazzata via, lontano 350 metri da dove era la mia casa, il mio letto, ero sepolta da fango e acqua. Ma l’acqua non la ricordo, non ricordo il bagnato. Ora dopo 45 anni, devo dormire con la finestra sempre aperta, non riesco a farmi il bagno in una vasca, per bere un bicchiere d’acqua ho bisogno di fare piccoli sorsi, mi manca il respiro. Il mio sogno sarebbe quello di diventare una subacquea».

Lo racconta così il suo 9 ottobre di 45 anni fa Micaela Coletti, presidente del Comitato sopravvissuti Vajont. Domani è il 45simo anniversario del disastro del Vajont che inghiottì 1917 persone. Sono rimasti in 30, i sopravvissuti, quelli usciti vivi dalle macerie di detriti e fango. Altri, superstiti, perché migranti all’estero, per lavoro, ma quella notte hanno perso le loro famiglie. «Ricordo tutto, avevo dieci anni, dormivo con mio fratello di tre anni, i miei genitori erano nell’altra stanza - racconta un altro sopravvissuto Gino Mazzorana, vicepresidente del comitato - all’improvviso un forte vento, la casa ha tremato, pensavo ad un terremoto. Sono volato via, mio fratello mi è sfuggiro dalle mani. Ho fatto un volo di duecento metri. Ho chiamato mia madre, «aiutami, portami via»; poi alle tre di notte ho intravisto le lucine delle torce dei soccorritori, come fiammelle».

Il 9 ottobre 1963 alle 22.39 una massa di due chilometri quadrati di superficie e circa 260 milioni di metri cubi si stacca dal monte Toc - «marcio» in friulano - e precipita nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont. La frana solleva un’onda di circa 50 milioni di metri cubi di acqua, che si innalza per 160 metri e poi ricade nel bacino, e in parte oltrepassa la diga e con il suo carico di detriti e fango schiaccia i paesi a valle: Longarone - che conta l’80% delle vittime - le frazioni di Rivalta, Pirago, Faè e Villanova; il Comune di Castellavazzo, dove Codissago fu il paese più colpito; Erto e Casso furono risparmiati dalla furia delle acque, ma non così le frazioni vicine con 158 morti a Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino. Anche il cantiere della diga fu travolto e con esso 54 operai.

Circa 1500 le salme recuperate, quasi la metà non sono state riconosciute. «Ho perso due fratelli e una sorella, mia madre, mio padre - racconta ancora Micaela - non sono stati ritrovati. Solo mio padre è stato riconosciuto perché aveva i documenti in tasca». «Ho perso mio fratello, mio padre, mia madre - dice ancora Gino - aveva compiuto gli anni, 39, tre giorni prima, avevamo festeggiato il suo compleanno. Poi sono venuti i mie parenti, anche dalla Francia e non si con dati pace, hanno scavato anche loro e abbiamo avuto fortuna: abbiamo ritrovato tutti e tre i corpi. Quello di mio padre l’ha riconosciuto mia nonna il il 29 novembre, il giorno di quello che sarebbe stato il suo 40esimo compleanno. Sono tutti sepolti nel cimitero delle vittime. Vorrei che il Vajont fosse ricordato sui libri di scuola».

Micaela Coletti è riuscita a tornare a Longarone la prima volta nel 1987, poi da sei anni è tornata a vivere qui, a Fortugna, vicino al cimitero delle vittime: «La Longarone che c’è adesso non la conosco. Longarone per me sono le trenta case salvate e il cimitero, lì ci sono tutte le persone della mia vita, è quello il mio paese». I sopravvissuti, spiega la presidente del Comitato, sono l’altra faccia del disastro, quella nascosta: «Per noi è importante ricordare perché finché ci sarà il ricordo Longarone e la sua gente non sarà morta». E come altri scampati, con tutto il carico di questo senso di colpa, Micaela sottolinea che la testimonianza serve per aiutare a superare il trauma psicologico: per questo hanno raccolto le voci di chi non aveva mai parlato e le hanno raccolte in un libro, che serva ad altri, «Psicologia dell’emergenza - caso Vajont».

Lorenzo Manigrasso è un fotografo ed è arrivato poco dopo la tragedia a Longarone, con gli agenti della polizia della squadra dei soccorsi. Il primo ad aver scattato immagini: «Ho ripreso i familiari di spalle, volevo rispettare il loro dolore». «Sono arrivato che non era ancora giorno - racconta - sono sceso dalla macchina perché la strada non c’era più. La prima cosa che ho visto è un tratto di binario sollevato da terra, attorcigliato su se stesso come se qualcuno si fosse divertito a fare un ricciolo. Non sapevamo bene cosa fosse successo, siamo partiti con «Longarone è allagat». Invece ho visto una valle brulla, un contorno frastagliato di detriti e legname, in mezzo a cui c’erano cadaveri. Più avanti c’era una grande pozza di acqua, 50 metri, i pompieri col gommone tiravano fuori i corpi, come fosse un pozzo. Ricordo il corpo di una donna giovanissima, era nuda, come tutti gli altri. Un vecchietto mi ha spiegato con calma che prima il movimento d’aria ha buttato giù le case, poi è venuta giù l’acqua con i detriti».

Terreno con speroni di roccia fuori, come ossa spezzate, poi fango tanto fango, pozzanghere poi diventate polvere e dentro quei buchi «i corpi di quella povera gente e - prosegue a fatica Manigrasso - quello che mi ha colpito di più sono i familiari delle vittime, arrivati dopo, anche dall’estero: in silenzio posavano le mani sulle tante bare, non sapevano chi ci fosse, ma lo facevano, come una carezza». Pierluigi de Cesero è il sindaco di Longarone, il primo non nato nel 63, ma la sua famiglia ha subito tre lutti: «Ci sono due comunità: quella di chi ha vissuto il Vajont e quelli che non l’hanno vissuto. Oggi nel comune ci sono 4100 abitanti e a Longarone 2000 persone, come prima del disastro. Duecento-trecento sono i sopravvissuti, quelli che sono usciti vivi dalle macerie o che non erano a Longarone ma hanno perso la famiglia. Quelli che hanno visto Longarone prima. Li vedi passeggiano per le strade con gli occhi del ricordo».

Alcuni sono andati via, «altri, con i sassi nel cuore, sono rimasti e hanno ricostruito». Ci sono anche molti giovani però che non vogliono dimenticare il 9 ottobre del 63 e si sono trasformati in «guide della memoria», impegnandosi in percorsi e iniziative per conservare il ricordo del disastro. «Abbiamo il dovere di ricordare perché tragedie simili non debbano umiliare future generazioni - dice il sindaco - non abbiamo niente da chiedere, ma dobbiamo portare avanti la sacralità delle vittime, e per rendersi conto di ciò che la mano dell’uomo può causare se non rispetta la natura». Per questo motivo è nata la Fondazione Vajont, dall'accordo transattivo, tra il Comune di Longarone e la Società Edison Spa, per i danni causati nella catastrofe. La Fondazione, nata 5 anni fa, realizza corsi per ingegneri, ricerche e studi scientifici sul territorio e sul rischio idrogeologico, vantando anche collaborazioni internazionali con Giappone e Cina. Il progetto è creare un laboratorio permanente di ricerca - spiega il sindaco di Longarone - «perchè la lezione del Vajont venga ascoltata, come finora non si è fatto: dopo il disastro si è continuato a costruire sul Piave, e dati i rischi di esondazione non era il luogo più adatto».

Oggi le commemorazioni per il 45esimo anniversario del disastro del Vajont iniziano a Longarone la mattina in municipio. Poi nel pomeriggio saranno deposte corone a Fortogna, il «cimitero delle vittime» e il vescovo di Belluno celebrerà la messa. La sera una veglia e alle 22.39, l’ora della tragedia, un minuto di silenzio.

domenica 5 ottobre 2008

PER NON DIMENTICARE ANNA POLITKOVSKAJA


Martedì 7 ottobre sarà il secondo anniversario della morte di Anna Politkovskaia.
Una giornalista russa che ha pagato le sue testimonanianze con la vita.

Infatti Anna era da tempo impegnata a smascherare le bugie del regime di Putin e le nefandezze che in nome del popolo russo le truppe Federali e i soldati russi commettevano in Cecenia.

Anna Politkovskaja nasce il 30 agosto 1958 a New York da due diplomatici sovietici di nazionalità ucraina. Studia giornalismo a Mosca dove si laurea nel 1980.

Inizia a scrivere e a lavorare per l'Izvestija giornale moscovita fino al 1993. Successivamente fino al 1999 sarà responsabile della sezione emergenze-incidenti e come assistente del Direttore alla Obscaja Gazeta.

Si reca in Cecenia per la prima volta nel 1998, come inviata della Obscaja Gazeta ad intervistare Aslan Mashkadov, all'epoca appena eletto presidente della Cecenia.

A partire dal 1999 fino alla sua uccisione lavora per la Novaja Gazeta, pubblica contemporaneamente libri con toni fortemente critici su Vladimir Putin, su come conduce la guerra in Cecenia, Daghestan ed Inguscezia. Per questo verrà più volte minacciata di morte.

In Cecenia si è recata molto spesso, visitando campi profughi, intervistando sia militari russi che civili ceceni. Non risparmierà critiche alle forze russe in Cecenia, documentando minuziosamente gli abusi commessi sulla popolazione civile e sulle presunte connivenze e sui silenzi dei due primi ministri ceceni, Ahmad Kadyrov e suo figlio Ramsan, entrambi sostenuti da Mosca.

La Politkovskaja sarà chiamata dai terroristi che occupavano il Teatro Dubrovka, dove cercherà di condurre le trattative durante l'occupazione del teatro, prima che le forze russe decidessero di uccidere, ostaggi e terroristi con il gas.

Nel 2004 in settembre, mentre si sta recando a Beslan durante la crisi degli ostaggi, viene avvelenata in aereo, perde conoscenza e l'aereo è costretto a tornare indietro per permettere il suo ricovero. La dinamica dell'accaduto non verrà mai chiarita.

Nel 2005 durante una conferenza di reporter senza frontiere a Vienna sullal ibertà di stampa dichiara:
"Certe volte le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemnte per avermi dato un'informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare".

Anna Politkovskaja viene ritrovata morta il 7 Ottobre 2006 nell'ascensore del suo palazzo a Mosca. La polizia rinviene la pistola Makarov PM e quattro bossoli accanto al cadavere. Uno dei proiettili ha colpito la giornalista alla testa. La pista seguita è quella dell'omicidio premeditato ed operato da un Killer a pagamento. I mandanti sono ancora sconosciuti.
La polizia sequesterà il computer e tutto il materiale su cui stava lavorando Anna, un lungo articolo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al primo ministro Ramsan Kadyrov. Gli appunti non sequestrati verranno pubblicati il 9 ottobre sulla Novaja Gazeta.

Ai suoi funerali più di mille persone, colleghi e semplici ammiratori pareciperanno alla cerimionia funebre.

Assenti i rappresentanti del governo russo.

Io credo che Anna Politkvoskaja meriti di essere ricordata, sopratutto come esempio di coraggio, per la forza delle sue denuncie, per le sue idee di giornalismo "obiettivo e di servizio".

Il suo ricordo sia di esempio ad un certo giornalismo di bottega e servo del potere che putroppo sempre più siamo abituati a tollerare e a far finta di non vedere.

"Sensibile al dolore degli oppressi, incorrutibile, glaciale di fronte alle compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera; la sua vera sete di verità, è fuoco indomabile." (André Glucksmann su Anna Politkovskaja)

Vieffe



domenica 28 settembre 2008

Ancora su Anna Politkovskaya


tratto dal Sito di Art.21

Per non dimenticare Anna

Due anni fa, il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja, coraggiosa giornalista russa, è stata uccisa nella sua casa di Mosca. Era stata inviata decine di volte nel Caucaso e soprattutto in Cecenia, dove aveva denunciato i crimini commessi dall’esercito russo. Non ha mai giustificato il terrorismo ceceno e ha sempre invitato le due parti a dialogare, unico percorso possibile per una soluzione pacifica del conflitto.

Lei, armata solo di penna, è stata però assassinata. Chi ha sparato è ancora a piede libero, così come chi ha finanziato il gruppo di killer che l’ha uccisa, a soli 48 anni.

A questa donna straordinaria più di milleduecento cittadini e venti tra associazioni, fondazioni, comitati, consigli di zona, redazioni hanno chiesto che il Comune di Milano dedichi un albero nel Giardino dei Giusti di Milano sul Monte Stella.

Il Giardino dei Giusti è un luogo unico in Italia, nato per ricordare le figure morali che hanno avuto il coraggio di battersi per la difesa della dignità umana.

A pochi giorni dal secondo anniversario della sua morte, la festa democratica rende omaggio alla figura esemplare di Anna Politkovskaja.

venerdì 26 settembre 2008

In memoria di Anna Politkovskaja



Un Blog personale per dire quello che penso, era da tanto che l'avevo pensato.
A farmi decidere di realizzarlo però è stato un incontro.
Ci sono tante occasioni d' incontro nella vita.
Il mio è stato con un libro - Proibito parlare - che mi ha fatto conoscere una grande giornalista: Anna Politkovskaja.
Purtoppo ora non c'è più, la sua penna ha smesso di disturbare il manovratore, infatti è stata assassinata nell'ascensore di casa sua a Mosca il 7 ottobre 2006.
Le sue ide però non hanno smesso di vivere.
Nel mio piccolo vorrei accogliere l'appello fatto qualche mese fa dai suoi due figli, continuare a dare un senso alla sua vita, spesa per affermare la verità, leggendo e nel possibile far conoscere le sue parole e suoi pensieri.
Lei giornalista della Novaya Gazeta con i suoi articoli sulla Guerra in Cecenia e con le sue affermazioni sulla politica di Putin ha attirato l'attenzione di coloro che volevano farla tacere per sempre. Lei una dei pochi giornalisti in Russia che non temesse le pressioni e le minacce.
Forse riusciranno a catturare l'assassino ma non si troveranno mai i veri mandanti.