domenica 6 ottobre 2013

VAJONT Mercoledì 9 ottobre 1963 ore 22,39 una tragedia annunciata


Mercoledì 9 ottobre 1963, alle ore 22,39, 300 milioni di metri cubi di roccia del Monte Toc si riversarono alla velocità di 90 km/h nel bacino artificiale della diga del Vajont.
Il lago artificiale conteneva 120 milioni di metri cubi di acqua e la frana, che era costituita da un volume di  massa rocciosa tre volte superiore alla quantità d'acqua, provocò un'onda d'acqua che scavalcò la barriera di cemento armato della diga per cento metri in altezza  riversandosi senza trovare ostacoli nella vallata distruggendo quasi completamente il paese di Longarone, cancellandolo anche

Come appariva Longarone prima del disastro

10 ottobre 1963, il giorno dopo la tragedia il paese era stato quasi completamente cancellato

parte dei piccoli villaggi che si trovavano confinanti. Nella parte a monte della diga l'onda ha spazzato via i villaggi che erano sulle sponde del bacino del comune di Erto e Casso.
L'ondata di acqua e fango ha cancellato i villaggi di Le Spesse, Pineda, Ceva, Frasègn, Il Cristo, San Martino, Marzana, Feè Fortogna e la parte bassa del paese di Erto.
Nella Valle del Piave saranno rasi al suolo scomparendo i paesi di Longarone, Pirago, Maè, Rivalta e Villanova. Il mare di fango ha anche danneggiato le abitazioni di Soverzene e Ponte nelle Alpi.
Il villaggio di Caorera del comune di Belluno fu distrutto dall'onda e furono allagate le abitazioni del quartiere di Borgo Piave a ridosso dell'omonimo fiume.
Rimasero uccise 1918 vittime (solo la metà furono riconosciute dai familiari), delle quali 1450 erano abitanti di Longarone, 158 di Erto e Casso, 109 di Codissago e Castelavazzano, 200 abitanti in altri Comuni.
La tragedia del Vajont venne citata nel corso della presentazione dei lavori dell'assemblea Generale delle Nazioni Unite a favore dell'anno internazionale della terra, nel 2008, come caso da manuale educativo quale "disastro evitabile", causato dalla insufficiente comprensione delle scienze della terra e come
" fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare".

Come tutti sanno la diga, che in quegli anni e per lungo tempo ha detenuto il primato della diga più grande mai costruita, ha resistito all'impatto e allo scavalco e ora è ancora lì  testimoniare la superficialità,  l'assurda e colpevole spregiudicatezza di politici, tecnici, ingegneri e geologi che per meri scopi, a volte anche biechi personalismi, l'hanno  voluta e poi realizzata.
Per portare a termine il loro progetto, hanno di volta in volta, segretato, occultato studi pareri e relazioni contrarie, e pur sapendo il rischio che correvano le genti di quei paesi, hanno continuato dal 1926, quando la Sade (Società privata di proprietà di Giuseppe Volpi presentò al Ministero dei lavori pubblici la richiesta di costruzione) fino al giorno della tragedia, a portare avanti un progetto che non aveva i presupposti per essere un opera che garantiva la sicurezza della popolazione.

Poche e  inascoltate le voci che nel corso degli anni precedenti al disastro, si sono levate per denunciare i rischi che correvano le popolazioni.





Una di queste è stata quella di Tina Merlin, giornalista dell'Unità che con le sue inchieste aveva denunciato ripetutamente i pericoli legati alla costruzione della diga e per questo fu denunciata (1960) per 'diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico' poi assolta dal tribunale di Milano nel 1974.
Tina Merlin la giornalista processata e assolta per gli articoli di denuncia  pubblicati sul quotidiano L'Unità

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